

CARLO GRILLI
La Luce del Paradiso

Dopo Il Drago e le Cinque Stelle e Le pietre di Nazaret, ecco il terzo ed ultimo libro della trilogia dell’autore Carlo Grilli. Il volume, che dovrebbe portare a termine le avventure dei Santi Difensori, i protagonisti che hanno dato il titolo all’intera trilogia, riconduce la vicenda in ambienti più familiari rispetto al secondo, tra cui il paese stesso di Sirolo, luogo in cui aveva avuto principio la trama; non mancano comunque ambientazioni nuove, tra cui l’isola croata di Meleda e la città di Venezia.
I personaggi sono quelli del libro precedente, ma anche in quest’ultimo capitolo troviamo nuovi ed importanti ingressi nella scena, capaci di portare freschezza e originalità ad uno schema già collaudato.
La narrazione degli eventi scorre piacevolmente ed è in grado, a tratti, di produrre suspense ed attesa, novità che differenziano questo terzo libro dagli altri che lo hanno preceduto.
Le vicende che ruotano attorno ai protagonisti sembrano giungere dunque alla fine, ma la presenza di nuovi personaggi e delle storie che portano con sé aprono una possibile porta verso nuove avventure: che Grilli sia già in procinto di ideare un nuovo capitolo?
Francesca Pirani
ISBN: 9788892559134

Trama
Un decennio appena è trascorso da quando i maligni, là in Terra Santa, sono stati annientati e sconfitti, le spade sono state riposte e la pace sembra regnare, ma uno scuro individuo, forse una spia, si aggira e si nasconde nel bosco sotto l’Eremo di Santo Spirito.Lucia, la Temeraria, adesso al comando dei Santi Difensori, all’interno di quelle sacre mura, percepisce che l’arcaica sede ora non è più occultata e sicura e per questo motivo chiama a raccolta i tre Grandi Guerrieri Protettori, decidendo di anticipare le mosse del nemico, che in un’isola sulla costa dalmata cela una micidiale flotta; lì, Rabdul, Lo Scorpione, il nuovo e sinistro egemone del Male, sta preparando la sua armata per aggredire il litorale Piceno e poi muovere contro la confraternita.
Una demoniaca donna, strega e vampira, di nome Zora, lasciando il suo recondito covo velato nella laguna veneta, si unisce al truce condottiero che, per omaggiarla di rosso pasto, ha fatto rapire dai suoi sgherri una fanciulla.
Arsenio, l’ex Cavaliere Templare, il lupo mannaro, riceve l’ordine di partire anzitempo per recare soccorso alla ragazza: coadiuvato dal giovane Filiberto e dal vecchio e ardito Degardo, diventa la punta di lancia dell’imminente attacco che i guerrieri dell’Angelo stanno accingendosi a compiere; per fare ciò, Lucia chiede anche aiuto all’antico popolo amico che, da sempre, segretamente vive nelle acque dell’oceano.
Lo scontro tra le forze del Bene e quelle del Male sarà inevitabile, ma non sarà la sola battaglia che verrà combattuta: una più grande e insidiosa, senza spade né armi, dovrà essere vissuta e pugnata nel cuore di Arsenio; mentre, nel pieno della disputa, quando la lotta infuria, una misteriosa figura, cinica e celata, guidata mentalmente da una magnifica creatura, si muove lesta e con il suo agire porta scompiglio, morte e rovina nelle file dei malvagi.
Cenni storici e note dell’autore
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Da alcuni scavi eseguiti tra il 2006 e il 2008 da Matteo Borrini sull’isola del Lazzaretto Nuovo della Città di Venezia, è venuta alla luce, in una fossa comune sicuramente scavata durante la pestilenza che aveva colpito la Serenissima alla fine del 1500, lo scheletro di una donna la cui età doveva essere di circa settant’anni. Il corpo di costei, stranamente ancora in stato di decomposizione, aveva un mattone inserito in bocca che gli aveva di conseguenza fratturato i denti. Era, questa, una pratica che nel medioevo si soleva fare con i Nachzhrer (antico termine polacco significante masticatore di sudario o divoratore della notte). La credenza popolare d’allora, infatti, riteneva che le pestilenze fossero dovute a questi esseri demoniaci i quali, sbucando dai sepolcri nelle ore buie, si nutrivano di cadaveri appena sepolti. Superstizione? Probabilmente sì. Tuttavia bisognerebbe mettersi nei panni della gente di quell’epoca in cui le tante storie di streghe, lupi mannari e quant’altro incutevano terrore. Quasi certamente, questa donna era stata considerata una di queste creature. In effetti si narra che nell’urbe veneziana, durante la pandemia, si aggirassero figure tenebrose considerate responsabili della malattia. Questi presunti vampiri, i cui veli funebri apparivano consumati all’altezza della bocca come se fossero stati masticati, erano riconosciuti tali quando, per gettarci altri poveretti, venivano riaperte le fosse comuni: i loro corpi, infatti, si esibivano non intaccati dal post mortem.
Da questo particolare ritrovamento e dalle supposizioni fatte, ho tratto in parte ispirazione per il racconto. Inoltre tengo a precisare che il cimitero della laguna veneta, da me descritto nella storia, è solo frutto della mia fantasia. Mentre, per ciò che riguarda la villa rifugio della strega, ho immaginato che questa fosse ubicata al posto del Monastero di Santa Maria di Meleda, l’eremo sito sull’isola croata di Miljet (la Meleda dei latini).
Un breve estratto del libro III
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Prologo
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Dormi e riposa, oh invincibile e intrepido guerriero! Tu, che un tempo mi eri ostile ma che adesso sei mia fidata spada, assapora il sonno del giusto.
Tu, che non temi più la luce del sole e attendi su questa nave i bagliori dell’aurora, ora sogna, perché in questo sogno io reco a te una lieta novella: un erede ti verrà concesso. Sarà un essere di luce, una discendente alata che il mondo guiderà… Dall’acqua e dalla terra sorgerà una bambina in cui il Sacro Sangue scorrerà.
Padre, ella ti chiamerà e le rughe del tempo non conoscerà… Sino al giorno della tua dipartita, tre anni ogni cinquecento lei crescerà. Poi, quando la Fanciulla delle Stelle genitori più non avrà, dalle mie tante lame protetta sarà.
Sii felice, oh Principe del Drago! Dormi e riposa… presto, la nuova alba verrà.
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La Narratrice
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Soffia e risoffia, sbuffa e risbuffa… ulula e fischia, giostra e volteggia: vento che va, vento che viene… da quale parte nasce e perché prende vigore? Dove va, quale è il suo scopo? Io non so dirvi, anche per me è un mistero. Per gli antichi la brezza era il respiro di Dio, o forse, io credo, è solo uno dei tanti modi in cui l’Onnipotente accarezza le sue creature.
Con il borea freddo o il fresco zefiro garbato, il vento sfiora e avvolge il mondo: gira e rigira e sui suoi giri poi ritorna.
Che sia una leggera brezza di levante o che spiri spavaldo da ponente, a me piace muovermi con esso. Così come mi è lieto volare sulle ali del maestrale che quando incontra il mare spumeggia l’onda… e là, avvolta fra le sue pieghe, gioisco nell’ascoltarne il canto.
Mi alletta sentir sulle mie gote anche il grecale, come il libeccio o l’umido scirocco che a volte si confonde con l’ostro caldo; mentre, nelle gelide notti invernali, mi è ameno assai il viaggiare nella sferzante tramontana che, sibilando, dona neve ammantando il paesaggio.
In tutti questi aliti, a volte, con gaudio mi nascondo… ma se c’è una cosa che più di ogni altra amo fare, è camminare nella fitta nebbia perché là, fra le sue braccia, io mi perdo: mi sovvengono antichi ricordi e la memoria nostalgica delle mie origini.
Dal nulla sono stata creata, ancor prima che gli ammassi luminosi diventassero stelle e nel nulla ho atteso dormiente… lì, avvolta da nuvole di luce, ovattata in quelle dense nebulose, ho preso subito coscienza del mio mandato e Il Grande Architetto, l’Onnipotente, ha voluto che mi chiamassi Nebula… poi è iniziato il tutto.
Ho visto nascer le stelle, il sole e i tanti pianeti che gli ruotano intorno; dopodiché, tra acqua e fuoco, è sbocciato il vostro mondo in cui è apparsa la vita… e così è incominciato il mio amaro e triste compito.
Giorno dopo giorno per molteplici ere, ho osservato l’aurora espugnare il buio onde lasciare il passo alla luce… la grande palla infuocata all’alba sale e poi scende al tramonto: declinando, muore per rinascere poiché, nel suo digradare, incede verso il luogo dal quale risorgerà… così come la vita.
Una generazione va, una generazione viene. Tuttavia, ahimè, l’uomo resta sempre lo stesso. Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà: non c'è mai pace sotto il cielo.
Il vento soffia fuggendo via lontano, poi, però, puntuale ritorna: simile al fiume e al mare è in continuo movimento. A tratti viaggia impetuoso, altre volte, invece, esso si mostra quieto e carezzevole… così è l’animo umano: sempre, anche quando cerca la pace, in moto, in tormentato travaglio… e nessuno potrebbe spiegarne il perché.
Nell’infinto carosello dell’esistenza, ho visto le tante azioni che gli esseri umani fanno, buone o malvagie che siano, sono giunta a una conclusione: vanità, tutto è vanità, è come inseguire il vento. Non paga, ho deciso allora di esaminare l’animo umano e ho capito che esplorare la mente dell’uomo è ardua impresa: è come navigare in un mare in tempesta.
Io, dal canto mio, non provo emozioni… Tale a una spettatrice cinica, sono sempre stata qui presente e silenziosa, velata ai vostri occhi, furtiva e misteriosa, ma mai cattiva o ingiusta né sadica o maligna, di certo, ahimè, reale, fredda e spaventosa… e sempre ci sarò.
Chi sono io già vi è noto, ma per coloro che ignari o sciocchi ancor non sanno, or mi presento: sono la triste e inevitabile fine del viaggio, l’ultimo fatale approdo, la sola e unica malinconica meta… io sono la Nera Signora, l’Angelo della Morte. Però, se preferite, potete chiamarmi Nebula; è questo il mio vero nome, l’esser appellata così mi è ameno e a voi, miei eletti, già sapete che ciò concedo.
Liberavi di me non vi è permesso… sì, io so d’arrecarvi sgomento e comprendo anche che il mio nome infonde terrore… non posso farci niente, ho un amaro compito da svolgere. Così vanno le cose e sempre così andranno, tuttavia non temete, paura non abbiate: ora non sono qui per voi.
I pezzi sulla mia scacchiera ormai da lungi sono stati mossi ed è tempo di porre fine alla partita, di dare scacco matto, di far sì che i conti tornino. È arrivato il momento di tirare le somme… I giorni scorrono veloci e la terrena esistenza prima o poi deve giungere al termine; pertanto, poiché tutto è come un alito di vento, prepararsi bisogna al trapasso con serenità, perché esso è la porta d’accesso alla luce e alla gioia infinita.
Spetta ancora a me narrarvi come siamo arrivati a questo punto, mio è l’incarico ma ciò non mi è gravoso, perciò, con piacere, adesso io vi novellerò.
Dopo il ritorno dei giovani paladini alla Terra Picena, negli anni successivi ognuno era andato per la sua strada: molti cuori si erano uniti e l’amore aveva trionfato.
Vlad e Sofia, nel loro castello ai piedi delle Alpi Transilvaniche, adesso vivevano felici. Massimo e Leandro, rimanendo in Epiro, si erano congiunti con le figlie di Altazir il bizantino. Lucia la Temeraria e Arturo, invece, ora dimoravano entrambi nell’Eremo di Santo Spirito. La prima era stata insignita del grado di Capo Guerriero assumendo il comando della Confraternita, mentre il secondo, nominato Primo Stratega, era diventato il suo braccio destro. Matteo il Mentale, dopo la morte del suo mentore, l’anziano Pietro, aveva preso il posto di questi e si era unito nel sacro vincolo del matrimonio con Lucia. Il vecchio Massimiliano Degli Angeli, ormai in età avanzata, era ritornato a casa e, insieme alla moglie Eleonora, viveva lieto nel suo casolare ai margini del Castello di Sirolo. Odone, da buon nocchiero, su richiesta dell’arcaico Ordine, aveva ripreso a navigare: solcava il mare per recare messaggi. Ermete, con l’amata consorte Alice, governava il Feudo dei Conti Cortesi, mentre Arsenio, l’ex Cavaliere Templare, il monaco, il lupo mannaro, aveva ripreso il suo compito: proteggere la Santa Reliquia che nel Sancta Sanctorum, sotto la cripta della Badia di San Pietro al Conero, era celata.
Lontano dalle adriatiche sponde, laggiù oltre la Terra Santa, nonostante fossero stati sconfitti, i maligni non si erano dati per vinti e si stavano riorganizzando in gran segreto. Il loro nuovo capo aveva chiamato a raccolta i restanti malvagi: unendo tutte le forze, avrebbe dato battaglia. Costui, infatti, stava preparando una flotta con lo scopo di aggredire i difensori del Bene… Ma andiamo per gradi. Questa nuova storia che sto per raccontarvi ebbe inizio, ancora una volta, nelle vette dell’Italia Centrale.
In quel freddo mattino di febbraio, un timido sole si accingeva a spuntare e il balenare dell’alba irradiava le bianche cime della Maiella… era l’anno del Signore 1205.
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Un’oscura presenza
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La bufera di neve era terminata e il vento gelido che aveva soffiato imperterrito durante la notte ora si era placato: regnava un silenzio assoluto in quel candido luogo.
Le dense nuvole si stavano diradando e lassù, in alto nel cielo, s’intravedeva un’aquila: disegnando ampi cerchi, planava fendendo le nubi e poi risaliva.
In quel silente paesaggio fiabesco dove le vette immacolate coronavano la vallata, i primi barlumi di un sole invernale ancora celato al creato, comunicavano che l’aurora era ormai alle porte: molto presto, il chiarore avrebbe espugnato la sommità della Maiella… là, in quella solitudine solenne, la quiete imperava incontrastata avvolgendo l’Eremo di Santo Spirito nel quale, in gran segreto, era ubicata l’arcaica sede dei Santi Difensori.
In quel monastero lontano dagli occhi del mondo, residenza occultata dei membri guida della Confraternita, la quotidiana vita si risvegliava. Lì, fra quelle inaccessibili mura, uno dei dodici monaci guardiani preposti alla sorveglianza nelle ore buie, aggrappato alla fune della campana, era pronto per dare il buongiorno… tirò forte la corda e il bronzeo strumento, percosso dal batacchio, annunciò che era tempo di destarsi.
Fuori dal chiostro, balenando le cime innevate, l’alba stava prendendo vigore. L’aria era tersa e l’echeggiare di quella campana spezzava il silenzio con la sua monotona nota… tutto sembrava tranquillo ma, nell’ammantato bosco sotto il convento, li dove il sentiero lambiva le piante totalmente ricoperte di fiocchi, una sinistra figura se ne stava nascosta. Avvolto in un pesante mantello nero, un uomo armato di spada e pugnale, celandosi dietro le fronde di un arbusto, osservava, furtivo, la chiesa aggrappata alla roccia della montagna. Questo losco individuo, con ghigno malevolo, sorrideva compiaciuto: finalmente li aveva scovati… il suo compito era in parte terminato e adesso non doveva fare altro che lasciare quelle vette e riprendere la strada per la costa adriatica onde raggiungere la foce del fiume. Là, tra le canne del canneto sull’acqua, era ormeggiata l’imbarcazione dalla vela corvina che lo stava aspettando. Lì, in quell’insenatura, i suoi compari attendevano il suo ritorno per riprendere il mare e comunicare al loro capo il buon esito della missione. Pertanto, dopo aver dato un’ultima occhiata al monastero, il fosco personaggio si addentrò nella macchia, raggiunse il cavallo che aveva lasciato legato al fusto di un albero, sciolse le briglie e salì in sella. Dopodiché, spingendosi nella penombra cupa della selva, quest’enigmatica entità scomparve del tutto... però, io so, non fu affatto così: qualcuno lo aveva notato.
Il sole prendeva vigore e il cielo, non ancora completamente liberatosi dalle nuvole, si tingeva del suo antico e ceruleo colore quando Matteo, il nuovo Maestro Mentale, mani appoggiate al parapetto che dall’eremo si affacciava sul vallone, contemplava quel paesaggio incantato. Da quell’altezza sovrana, il suo sguardo spaziava senza incontrare ostacolo alcuno; così, all’improvviso, egli scrutò, laggiù ai margini della foresta, un uomo armato che si muoveva furtivo… e allora, allarmato, si domandò:
«Chi mai sarà costui che ho intravisto per un attimo? L’ora è presta e inappropriata: chi o cosa cerca questa persona nella boscaglia? La cosa non mi piace affatto… da un paio di giorni, arrivavano voci che si sono viste figure assai sospette aggirarsi nei borghi vicini al convento: la presenza di questo misterioso cavaliere è troppo strana». Pertanto, velocemente, lui si diresse verso la fine del lungo corridoio per rientrare nel monastero. Poi, una volta sorpassato l’angusto portone d’accesso, Matteo incontrò il guerriero di guardia al quale, prontamente, ordinò:
«Avvisa subito Filiberto e Vittorio! Che si presentino immediatamente qui nel chiostro a rapporto da me! Dopodiché, lesto, egli si avviò verso i dormitori per comunicare a sua moglie Lucia ciò che aveva appena adocchiato… un pensiero inquieto gli attanagliava la mente: quel nero soggetto doveva essere stato inviato dal nemico. Forse si trattava di un esploratore, perciò, se era così, significava che il nemico si stava riorganizzando e meditava qualcosa: forse quella spia era la prova che il Male si preparava ad attaccarli.