

CARLO GRILLI
Le Pietre di Nazaret

ISBN 9786050355406
Le Pietre di Nazaret é il titolo del secondo libro della trilogia I Santi Difensori, aperta dal testo d'esordio dell'autore Carlo Grilli Il Drago e le Cinque Stelle.
In questo secondo volume sorprende vedere le scene principali della storia svolgersi in luoghi lontani dall'originaria ambientazione che era stata presentata nel primo episodio e cioè il Monte Conero, con una particolare attenzione riservata al paese che ha dato i natali a Grilli, Sirolo: l'oriente è la nuova area d'azione e la Terra Santa, così come si evince dal titolo, ne rappresenta il fulcro.
La trama, che segue in parte le orme già tracciate nel primo libro, contiene uno spunto di assoluta novità che coincide con uno dei protagonisti: Vald il Dracul, vampiro e Principe della Transilvania, subisce, ad opera della fantasia dell'autore, una redenzione che interessa tutto lo svolgersi degli eventi; ciò che preme a Grilli è il desiderio di mostrare questo rinomato personaggio sotto una luce differente, che ne evidenzi la duplice natura vampiresca e umana.
Anche stavolta torna la commistione, tanto cara all'autore, di una tradizione sacra e di una profana, con un esito perfezionato rispetto al primo libro. Francesca Pirani

Trama
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Ventitrè anni sono trascorsi da quando il Signore del Drago è stato ucciso.
Il Gran Consiglio dei Santi Difensori decide di affidare a Ermete Degli Angeli e ai suoi giovani figli una missione: essi vengono mandati in Terra Santa, dove un oscuro servitore del male di nome Esur, alleato di Vlad il Dracul, minaccia di distruggere la Sacra dimora che fu della Vergine Maria.
Là ai margini del deserto, si erge il Bastione delle Rocce Rosse, una poderosa fortezza ove Esur il Maligno, capo dei lupi mannari, medita pensieri di morte.
I guerrieri della confraternita dovranno tentare di entrare in quell'inespugnabile maniero per liberare la prigioniera che il demone tiene rinchiusa.
L'impresa sembra impossibile, ma una strana e inattesa alleanza sarà formata, onde permettere agli angelici incursori di penetrare e colpire.
Cenni storici e note dell'autore
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Ho memoria che da adolescente, insieme ai miei coetanei, aspettavo entusiasta la sera del 7 dicembre.
In questo dì, per l’occasione della festa dell’Immacolata, era usanza allestire grandi falò. Secondo la tradizione popolare, questi roghi avevano lo scopo d‘indicare la rotta agli angeli che, come narra la leggenda, giungendo sorvolando il Mare Adriatico, trasportarono la Santa Casa da Nazaret sino a Loreto.
Settimane prima della suddetta data, noi ragazzi andavamo alla ricerca di materiale da ardere per poi bruciarlo in quella nottata nel bel mezzo di un campo.
Come molti altri sparsi nella campagna limitrofa alle pendici del Conero, quel fuoco era motivo di gioia e d’aggregazione: circondando le fiamme, lì si radunavano numerose famiglie. Ricordo anche i volti felici dei bimbi che con il naso all’insù cercavano di scorgere le Celesti Figure in volo… e tutt’oggi, anche se la ragione vince sulla fantasia, a me piace pensarla così.
Ma ciò che l’anima cerca, ahimè e per fortuna, a volte l’intelletto rifiuta. Infatti, secondo Fernando Frezzotti che nel suo libro “La Via degli Angeli” spiega accuratamente l’evento, sembra confermata l’ipotesi che, su ordine di Papa Celestino V, la Mariana Dimora sia giunta in Italia via nave e che l’operazione sia stata finanziata da una famiglia Bizantina di rango imperiale denominata Angeli-Commeno. Imparentata da generazioni con imperatori e maestri templari, questa nobile e potente casata governava sull’Epiro. Subentrando ai Cavalieri del Tempio, la suddetta dinastia, sino al 1294, ebbe in custodia le cosiddette “Sacre Pietre”, l’abitacolo della Vergine Maria.
Protetto dai soldati degli Angeli-Commeno (qui forse nasce la leggenda), sempre nel 1294, il natante con la sua preziosa reliquia approdò quindi al porto di Ancona. La venerata abitazione avrebbe dovuto prendere la strada per raggiungere l’Aquila dove, sempre per volontà di Celestino V, era stata edificata una basilica per ospitarla. Poi, però, a causa di controversie con il Re Carlo D’Angiò, il Pontefice scelse una nuova sede: la selva di Santa Maria in Fundo Laureti, nella quale adesso sorge la Città di Loreto.
Da questi fatti, veri o falsi che siano, ho cercato di creare una storia parallela al mito o se preferite alla realtà, lasciando ad ognuno la libertà di sognare ciò che il suo cuore gli suggerisce.
In conclusione, non me ne vogliano gli storici né i geografi, sia per le date che ho dovuto adattare, sia per i luoghi della Terra Santa che nell’opera cito e che, a parte Jaffa e Nazaret, sono frutto della mia fantasia.
Un breve estratto del Libro II
Prologo
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Dal vangelo segreto dei Santi Difensori
“La profezia dell'Angelo"
A te, figlio mio, io faccio profezia, affinché tu possa tramandare alla tua prole ciò che il Creatore a me concesse di sapere.
Verranno giorni in cui, dagli agitati mari delle religioni, stolti sovrani le loro armate muoveranno: violenza e morte arrecheranno.
Il germe dell’odio inonderà la terra di sangue e l’onda di distruzione, senza scernere il buono dal cattivo, come tempesta violenta si abbatterà… poi, per numerose lune, falsa quiete sarà.
Arriverà quindi un mattino di neve copiosa in cui, tra le viscere della montagna, i fuochi nei camini della mia sala crepiteranno: alte fiamme si leveranno. Là, fra quelle occultate pareti di pietra da sacre spade protette, giovani paladini io forgerò. Lì, in quel dì, una novella lama a me sorriderà… e sarà dunque quello il tempo d’andare.
Nei lidi rossastri d’oriente, il nuovo seme radici assai salde porrà… così, senza ferire, la casa dell’Addolorata sopra le acque viaggerà.
Lassù, accarezzata da nuvole, luccicanti ali bianche la sorreggeranno, mentre, onde indicare il cammino, nelle buie sponde lontane molti falò saranno accesi… e per la gente di fede ciò sarà gioia ma anche grande mistero.
L’amore prevarrà sull’odio dell’indomabile cavaliere nemico che, redento da vero pentimento, chiederà all’Eterno il perdono… come fiume al mare, verso il Bene lui confluirà.
Poi, dal mio angelico sangue donato, nuovi invincibili guerrieri saranno plasmati… essi tempo non conosceranno.
Potere su di loro la Nera Signora non avrà… giovani e forti a lungo vivranno, per vigilare, proteggere e custodire.
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La Narratrice
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Io esisto da sempre e nulla mi fa paura. Non avverto dolore né sofferenza, sono imbattibile, cinica, fredda e distaccata, non provo nessuna emozione né sento alcun desiderio… e niente mi sconforta o mi rallegra.
La mia invisibile figura, furtiva e silenziosa, vaga nell’aria come un cavaliere errante senza meta. Il passo mio, felpato e lesto, non fa rumore alcuno: velata ai vostri sguardi e veloce più del vento, viaggio da un reame all’altro. Mai mi è permesso di sostare, il riposo è un lusso che non mi è consentito… tuttavia non sono mai stanca.
A pochi eletti è dato contemplare il volto mio e nessuno conosce la mia età, perché da sempre esisto: del tempo io sono regina e, di tutte le creature, sola e unica sovrana.
A me è stato concesso l’onore di svelarvi l’arcano, di rivelarvi quello che mai è stato narrato: ciò che non si doveva sapere.
Io vi novellerò, cari mortali, le vicende eroiche di giovani guerrieri. Vi racconterò le gesta di questi temerari svelandovi i loro reconditi pensieri. A me e solo a me è stata data licenza di confidarvi ciò che in totale segreto avvenne… Io sono la custode di questa storia ignota ed è per me ora un privilegio rompere il sigillo per denudare il celato passato.
Non vi dirò subito chi sono né come vengo chiamata e questo perché voglio stuzzicare la vostra curiosità... però, forse, qualcun di voi ha già capito.
Dunque, vediamo da dove posso incominciare… sì, c’erano stati anni di odio e scontri. I grandi re, con le loro armate, appoggiati dall’Ecclesiastico Trono e spinti dal grido “Dio lo vuole!”, avevano mosso nuovamente guerra ai saraceni per riconquistare il caduto Regno di Gerusalemme, ma tutto era stato vano. La terza crociata era terminata con una disfatta e gli eserciti cristiani si erano ritirati. Così, da circa tre anni, in quella martoriata regione orientale regnava una falsa e apparente pace. Tuttavia, nonostante le spade fossero state riposte, una cruenta e oscura battaglia era combattuta tra le forze del Bene e quelle del Male. In questo scenario di sangue, tenebrose presenze agivano nell’ombra. Ma la storia che io ho il dovere di narrarvi ebbe inizio nell’italica terra centrale, là, negli Appennini, sotto le cime innevate della Maiella.
Oh sì, ricordo bene quel rigido giorno dalla luce soffusa. Il paesaggio era maestoso in quella nevosa e fredda mattina di dicembre… era l’anno del Signore 1195.
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Le Segrete Mura
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Là, ai piedi delle vette appenniniche, soffice e copiosa, la neve cadeva ammantando ogni cosa. Il vento aveva smesso di sbuffare e i bianchi fiocchi, fluttuando nell’aria, adesso scendevano lievi per poi posarsi dolcemente sul fiabesco paesaggio che si svegliava alla luce timida di quel presto mattino.
Alla fine dell’irto sentiero che si arrampicava sulla parete della montagna la cui cima era velata da nuvole, immersi in un immenso silenzio e avvolti nei loro mantelli, sette cavalieri erano quasi giunti a destinazione… lassù, all’eremo, li stavano aspettando.
Sopra le teste dei paladini, non troppo distante, si ergeva il monastero: incastonato nella roccia, si affacciava alla avallata. Alle loro spalle, invece, ai bordi del bosco che si adagiava alla rupe, celato tra gli arbusti innevati, un lupo solitario li stava guardando. Se ne stava immobile quel predatore, sembrava intimidito o forse, semplicemente, non voleva mostrarsi agli umani… però, io so, non era affatto così.
Ermete Degli Angeli, il capo pattuglia, aveva dietro di sé i suoi quattro eredi i cui nomi erano Leandro, Massimo, Sofia e Lucia. Egli cavalcava al fianco del cugino Odone, mentre Arturo, figlio di quest’ultimo, chiudeva la fila.
Lucia, la più giovane del drappello, percepì una strana sensazione: si sentì osservata. Ella, allora, dall’alto del suo destriero, si voltò per lanciare uno sguardo, scorgendo, ai margini della selva lontana, la grigia sagoma del cacciatore foreste. La ragazza mirò per un attimo, poi, con l’indice della mano destra, indicò alla sorella Sofia il selvaggio animale affinché lo notasse… il lupo capì di essere stato scoperto, perciò, con un repentino e agile balzo, corse via alzando spruzzi di neve per poi scomparire nella boscaglia. Ermete, avendo adocchiato la scena, nel vedere i volti allarmati delle due sorrise e stava per dire qualcosa quando, anticipandolo, Odone parlò:
«Il convento di Santo Spirito è ormai vicino: ancora un tornante e saremo arrivati». Infatti, dopo alcuni minuti, loro pervennero innanzi al portone del chiostro e, appena scesero dalle selle, il grosso battente di legno si spalancò… il vecchio Massimiliano, genitore di Ermete, era in attesa sulla soglia. L’anziano, ma ancor valente uomo, si avvicinò al figlio e ai nipoti e li salutò abbracciandoli uno per uno.
La grande porta si chiuse, pertanto, dopo aver lasciato in consegna i purosangue ai certosini, i sette, accompagnati da Massimiliano, varcarono l’uscio che permetteva l’accesso al santo luogo. Dopo aver attraversato un piccolo androne, salendo dei gradini, essi sfociarono in un modesto spiazzo. Poi, da lì, solcando un breve sentiero lastricato e superata un’altra scalinata, il gruppo s’incamminò lungo un corridoio: una specie di portico scavato nella roccia. Il suddetto percorso, nel suo lato destro, era delimitato da un parapetto in pietra dal quale si poteva ammirare la rupe scoscesa… pochi passi e pervennero sino all’ingresso di un piccolo edificio anch’esso ricavato dalla parete calcarea.
Massimiliano bussò forte tre volte e un giovane monaco alto e robusto di nome Matteo aprì il portone. Una volta entrati, questo frate dalle possenti spalle, il quale aveva più l’aria di un guerriero che di un uomo di chiesa, invitò tutti a seguirlo. Così, insieme a costui, gli otto attraversarono un androne alla fine del quale si diramavano due corridoi. Il primo, posto sulla destra, era angusto e buio, mentre il secondo, a sinistra, leggermente illuminato da una luce fioca, lasciava intravedere un lontano vano… presero questo cunicolo e dopo un po’ sfociarono in una lunga e stretta sala che aveva sul lato destro una feritoia. Sulla facciata di fondo, invece, si rilevava una grossa libreria su cui erano adagiati molti volumi. Alcuni metri prima di quel mobile, inserita in un robusto anello di ferro ancorato al muro mancino, era infine ubicata una fiaccola che illuminava l’intero l’ambiente. Massimiliano, il Capo Guerriero dei Santi Difensori, diede licenza al monaco di procedere. Matteo tolse dunque la torcia dall’anello, dopodiché, afferrando quest’ultimo, tirò verso di sé. Si sentì come uno scricchiolio, uno scatto che fece attivare una ruota dentata: era il principio di un ingranaggio che comandava l’apertura di un passaggio segreto.
Una parte dello scaffale si mosse aprendosi come un libro mostrando l’inizio di una scalinata: una gradinata in pietra di forma spirale che digradava verso il basso.
La lunga scalera scendeva ripida e molti metri più sotto sfociava in una galleria che, una volta inforcata, dopo circa una cinquantina di passi portava in una gigantesca sala. Era, questa, illuminata da una fessura, un taglio rettangolare sito in alto tra soffitto e parete di fondo che lasciava entrare sia l’aria che il pallido bagliore del giorno. Tuttavia, per avere più lume, oltre a quel riverbero timido, vi erano altre fonti di luce: otto torce e un grande candelabro. Appeso a una catena ancorata alla volta, il portacandele stazionava nel bel mezzo del salone rimanendo sospeso a tre metri dal pavimento.
Laggiù, nelle viscere della montagna, in quell’enorme vano ricavato dalla roccia, il Gran Consiglio dei Santi Difensori stava aspettando il giungere di Ermete e dei suoi.
Similmente ai fratelli e al cugino Arturo, Sofia e Lucia compresero di essere finalmente approdate nella Magna Sala del Gran Consiglio. In quell’ampia e maestosa stanza gli occhi furono subito catturati da una grande statua di marmo bianco che, posta sopra un piedistallo, rappresentava Siriele la Cinquestelle: l’angelo guerriero, la progenitrice della stirpe alla quale anch’esse appartenevano… nelle loro tuniche turchine, ricamate all’altezza del petto con cinque stelle simboleggianti una croce, le due fanciulle e i tre ragazzi osservavano affascinati il superbo simulacro raffigurante una donna. Possedeva, la dama, grandi ali e capelli ondulati che le scendevano lungo le spalle: era armata, in una mano brandiva una spada e nell’altra teneva un arco… e ben si notava, sulla sua armatura, la stessa effige delle vesti indossate dal giovanile quintetto.
Tutt’intorno alle pareti del mastodontico salone vi era, appesa al muro, un’infinità di vecchi scudi sotto ciascuno dei quali erano adagiate due altrettanto antiche spade. Ai fianchi della scultura, invece, equidistanti da questa una dozzina di metri, si trovavano due grossi camini. Lì, tra tizzoni ardenti e fiamme, molta legna bruciava e quei fuochi, emanando calore, rendevano la temperatura gradevole.
Nel lato opposto alla parete della statua, un’arcata in pietra dava l’accesso a un lungo e rettilineo corridoio rischiarato a malapena da ceri posti in nicchie nei rispettivi muri. Se poi da quel portale si allungava lo sguardo, alla fine del cunicolo s’intravedeva un altro ampio vano che, al contrario del tunnel, era discretamente illuminato.
Da quella lontana stanza, attraversando la quasi buia galleria, erano appena giunti due monaci. Uno di questi, anziano e cieco, reggeva un lungo bastone nella mano destra, mentre, con la sinistra, afferrava il braccio dell’altro frate che lo aiutava guidandolo nel suo deambulare.
Quel vecchio religioso non vedente, che con l’ausilio del suo bastone, fiero e sicuro, camminava a testa alta, era stato un tempo un valoroso combattente ed era ora uno dei membri del Gran Consiglio: Pietro era il suo nome.
Questi era un uomo molto saggio e veniva assai considerato dalla Confraternita; circolavano anche strane voci sul suo conto. Si diceva che egli fosse dotato di uno strano potere, si vociava che la cecità gli avesse concesso un dono. Sembrava che il senile e cieco Cavaliere dell’Ordine avesse la facoltà di comunicare con la mente, o meglio di entrare nei pensieri delle persone con le quali sentiva di avere un contatto anche se, fisicamente, fossero state molto remote.
Quel servo di Cristo, stimato fratello della Setta, a volte costituiva l’arma segreta dei Santi Difensori; prima di qualsiasi missione, gli anziani della Confraternita e il Capo Guerriero, affidandosi completamente alle sue intuizioni, gli chiedevano sempre consiglio. Egli, infatti, proiettandosi con gli occhi della sua mente anche in terre lontane, aveva una visione completa di ciò che avveniva nei teatri di scontro dove, uno o più suoi discepoli, addestrati a comunicare mentalmente con lui, venivano di proposito mandati per riferire. Così, in questo modo, l’arcaica congrega templare era in grado di controllare lo svolgersi delle battaglie e, se necessario, intervenire anticipando le mosse del nemico.
Di questo sibillino e schivo personaggio, che amava parlare poco e soleva stare spesso in solitudine, non si sapeva granché. Ma se del vecchio Pietro e dei suoi poteri poco o niente era dato realmente conoscere, nulla trapelava sull’identità dei suoi discepoli: tutto era celato. Nessuno, a parte Massimiliano e il membro più anziano del Gran Consiglio, era in grado di dire chi fossero i suoi allievi… i loro nomi erano tenuti segreti. Questi velati paladini, i misteriosi adepti del Maestro Pietro, erano chiamati Mentali.
Di costui e delle sue facoltà, i figli di Ermete e di Odone erano stati informati, tuttavia non lo avevano mai incontrato, sino a quando, varcando l’arcata in pietra che era la soglia alla Magna Sala, questo figurante enigmatico si presentò.
Lucia, attenta, mirava quell’uomo poiché suo padre le aveva parlato spesso di lui: la fama che lo circondava l’affascinava. Alquanto incuriosita, lei lo stava al momento squadrando da capo a piedi. Però, quel suo contemplare, assai poco durò, perché appena questi entrò nella Magna Sala ella udì, provenire dal tunnel, un sordo rumore di passi che le deviarono il guardare... alcuni secondi e sulla scia dei due monaci, spediti, giunsero nella grande stanza numerosi uomini armati. Tutti questi guerrieri, alti, vigorosi e fieri, esibivano occhi turchini e vestivano bianchi abiti templari: erano Paladini dei Santi Difensori.
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